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lunedì 29 agosto 2011

Tutti quei film che abbiamo detto adesso ce li vediamo - Paranoid Park




Davvero, pare riesca solo a parlare di cinema ultimamente. E male. Parlare di cinema che poi è sempre un'approssimazione per difetto.
Parliamo di Paranoid Park(Gus van Sant, 2007). Film particolare, sembra procedere per spezzoni narrativi disposti a caso e abbozzi di videoclip. I cahiers du cinema han detto che era il miglior film del 2007, più calmi gli spietati che lo mettevano 12°. Fotte obbiettivamente sega delle classifiche, e non so perché ne ho parlato, penso per la sorpresa di notarlo al primo posto per una rivista così prestigiosa(la più prestigiosa!).
Chissà, magari ai francesi piglia bene l'adolescenza e lo skateboard, o anche semplicemente l'adolescenza. Per la quale nessuno è mai pronto, un po' come per paranoid park.
Meglio spiegare: paranoid park è tipo la pool delle fornaci, ma a Portland, quindi molto molto più grande e molto molto più fica. Il ragazzino protagonista sta preso un po' male dalla vita, ma forse è tutto a posto. E' solo una fase, gli passerà credo. Beh, si tratta di quella fase di passaggio che chiamiamo, appunto, adolescenza. E' l'innocenza ad andarsene, il peccato t'investe e ci sono colpe da espiare, magari da esorcizzare scrivendo su fogli sparsi la propria drammaticamente(e splatteramente) comica storia di un sabato sera qualunque. Aldilà degli eventi sfortunati e particolari, del cadere (forse) in fallo della memoria, della rielaborazione soggettiva degli eventi e tutte ste cose realitivistiche date da le stesse scene che si ripetono, simili e non uguali, mi vien più che altro da dire che siamo stati tutti un po' come Alex, a perdere la testa in chissà quali pensieri durante una noiosa lezione di scienze mentre qualcosa sembra sempre mancare. Poi ci sono i super8 fatti seguendo gli skater da dietro con bella musica sotto. Basta poco per farci stare meglio.

sabato 13 agosto 2011

Bonaccia

"Come va?" chiese appoggiando la mano sulla spalla del fraterno amico, il quale, chino sulla scrivania, si affrettò a nascondere il contenuto dei suoi fogli.
Furono cinque minuti di convenevoli, poi sbroccò: la verità, la verità è che sono in difficoltà. Non so se è una questione di accenti sulla "a". Sono confuso: nel senso che mi sento perso, per davvero. Ho sempre disprezzato questo modo di dire; ora lo trovò così chiaro e semplice e te lo dico: completamente persa è la mia bussola. Sono perso. I tempi morti, che forse un po li ho cercati, mi hanno travolto. Mi hanno portato, fra le altre cose, qui a rovistare sulla mia calligrafia, su questo inchiostro stagionato. Nulla mi aggrada. Nulla.
Anche queste parole, che ti sto dicendo adesso, so bene non andare bene. Essere limitate dalla mia attule deficienza. Sono come handicappato, debilitato, monco. Arteriosclerotico delle emozioni, delle sensazioni, delle idee, degli spunti, del coraggio, della forza.
Completamente sterilizzato, annichilito, sventrato, spappolato.
Non so, forse potevo stare calmo, non spaventarti, e dirti: sono un attimo scoglionato. Ma forse è da troppo che sono scoglionato. Forse è qualcosa di più serio.
Terminò così il suo monologo. Giacomo abbassò lo sguardo, si portò le dita al mento in un gesto eloquente di riflessione. Aprì la bocca, ma si ammutolì.
Poi un urlo "BONACCIA".