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sabato 13 agosto 2011

Bonaccia

"Come va?" chiese appoggiando la mano sulla spalla del fraterno amico, il quale, chino sulla scrivania, si affrettò a nascondere il contenuto dei suoi fogli.
Furono cinque minuti di convenevoli, poi sbroccò: la verità, la verità è che sono in difficoltà. Non so se è una questione di accenti sulla "a". Sono confuso: nel senso che mi sento perso, per davvero. Ho sempre disprezzato questo modo di dire; ora lo trovò così chiaro e semplice e te lo dico: completamente persa è la mia bussola. Sono perso. I tempi morti, che forse un po li ho cercati, mi hanno travolto. Mi hanno portato, fra le altre cose, qui a rovistare sulla mia calligrafia, su questo inchiostro stagionato. Nulla mi aggrada. Nulla.
Anche queste parole, che ti sto dicendo adesso, so bene non andare bene. Essere limitate dalla mia attule deficienza. Sono come handicappato, debilitato, monco. Arteriosclerotico delle emozioni, delle sensazioni, delle idee, degli spunti, del coraggio, della forza.
Completamente sterilizzato, annichilito, sventrato, spappolato.
Non so, forse potevo stare calmo, non spaventarti, e dirti: sono un attimo scoglionato. Ma forse è da troppo che sono scoglionato. Forse è qualcosa di più serio.
Terminò così il suo monologo. Giacomo abbassò lo sguardo, si portò le dita al mento in un gesto eloquente di riflessione. Aprì la bocca, ma si ammutolì.
Poi un urlo "BONACCIA".

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