domenica 27 novembre 2011
La verità ti fa male lo so/1
Credo di provare non più di quattro sentimenti: invidia, gelosia, accidia ed ansia (sempre che siano sentimenti).
Ma, a dirla tutta, volevo solo dire che bisogna stare attenti ai giapponesi: un popolo che mette l'effetto pixel sopra peni e vagine è un popolo che non la racconta giusta.
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venerdì 25 novembre 2011
I paesaggi di Luigi Ghirri
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venerdì 18 novembre 2011
mercoledì 16 novembre 2011
Black Mamba!
Porcoggggiuda è uscito il disco dei distanti.
Un'ep lungo quasi quanto lo scorso lp (cinque canzoni, quindici minuti). In parte sembrano un'altra band. La voce (che qui raggiunge nuove vette, altissime, che comunque negli altri dischi s'intuiva essere tanta roba) è registrata e missata meglio di Enciclopedia...
(del primo demo non stiamo neanche a parlarne).
Solo è un peccato che non ci sia uno scritto d'introduzione (come invece per i due precedenti lavori). Tanto non si capisce 'na mazza direte... Mah, vabbè, io una mia idea me la faccio.
Cazzo è un discone. Porca pupazza.
ps:poi un giorno un bel postone su tutta la discografia lo si fa
Un'ep lungo quasi quanto lo scorso lp (cinque canzoni, quindici minuti). In parte sembrano un'altra band. La voce (che qui raggiunge nuove vette, altissime, che comunque negli altri dischi s'intuiva essere tanta roba) è registrata e missata meglio di Enciclopedia...
Solo è un peccato che non ci sia uno scritto d'introduzione (come invece per i due precedenti lavori). Tanto non si capisce 'na mazza direte... Mah, vabbè, io una mia idea me la faccio.
Cazzo è un discone. Porca pupazza.
ps:poi un giorno un bel postone su tutta la discografia lo si fa
domenica 13 novembre 2011
Di nuovo
UNA SEPARAZIONE (****-)
Un
film di Ashgar
Farhadi.
Con Sareh
Bayat,
Sarina
Farhadi,
Peyman
Moadi,
Babak Karimi. Drammatico,
durata 123 min. Iran 2011.
Una fotocopiatrice scansiona dei
documenti d'identità mentre scorrono i titoli di testa. Così si
apre Una separazione, film iraniano Orso d'oro a Berlino, ed è
quasi una dichiarazione d'intenti: mostrare l'essere umano. Asghar
Farhadi dribbla abilmente le censure del regime iraniano mettendo in
scena un dramma famigliare che oscilla fra tinte thriller ed elementi
tipicamente da commedia, dove l'oppressione del regime non è
additata, ma fa semplicemente da sfondo alla vicenda: Nader e Simin,
una coppia borghese con una figlia, s'apprestano al divorzio; la
moglie se ne va di casa lasciando il marito da solo a gestire la
figlia e il padre anziano, malato di Alzheimer; ad aiutarlo è una
badante, povera e fortemente religiosa, che, venendo meno alle sue
mansioni, scatenerà una violenta reazione da parte di Nader. La
badante lo accuserà poi di aver causato l'aborto del figlio che
portava in grembo.
E' questo l'evento drammatico che causa
l'inasprirsi della vicenda riportando l'azione là dov'era iniziata:
in un'aula di tribunale.
La molteplicità dei punti di vista e
l'avvenimento fuori campo degli eventi fondamentali mettono
fuorigioco lo spettatore: nessun personaggio ha l'autorità per farsi
portatore di verità, siamo costretti a non prendere una posizione:
siamo giudici incapaci di deliberare, non c'è verità, non c'è
corano né legge.
Il film, è chiaro, non è solo questo,
infatti, nel mezzo, si consumano altri drammi, dalla malattia del
padre ai problemi economici della badante, ma su tutti è quello
della giovane figlia, chiamata a decidere fra un padre che la carica
delle responsabilità che non è in grado di assumersi e una madre
assente in una sorta di Kramer contro Kramer iraniano.
Ne consegue una messa in scena fatta di
nervosa camera a mano con primi piani stretti, quasi soffocanti; è
poi un affastellarsi di decadrage fra porte, scale, finestre e vetri
sporchi: distanze fra i personaggi, ma anche anime frammentate,
ferite, imprigionate.
Una pluralità di temi quella toccata
da Farhadi che rendeva il film terreno pericoloso, ma il regista
iraniano non si confonde, non si perde inseguendo vani manifesti femministi (per quanto i personaggi femminili restino, nel complesso,
positivi rispetto alle loro controparti maschili) o sacrificandosi in
un pamphlet politico. Certo vi si può leggere l'allegoria politica e
l'antipatia per le istituzioni (la giustizia, il corano, ma anche la
famiglia, finendo per accomunare il film ad una lontana pellicola di
Bellocchio, I pugni in tasca), ma sarebbe sciocco liquidare
Una separazione come un film sull'Iran e il suo regime, è molto di
più: è un film sul rapporto tra verità e realtà, è un film
sull'essere umano. Si, un film su di noi.
IO SONO LI (***--)
Di Anrea Segre. Con Zhao Tao, Rade
Sherbedgia, Marco Paolini, Roberto Citran, Giuseppe Battiston.
Drammatico, durata 100min. Italia, Francia 2011.
Shun Li è un'emigrata cinese mandata a
lavorare in un bar a Chioggia per conto dei suoi creditori.
Nell'attesa di veder arrivare in Italia suo figlio, Li conosce Bepi,
anziano pescatore croato. Fra i due nasce subito un'amicizia (o forse
qualcosa di più) mal vista in paese e dai datori di lavoro di Li.
E' un melodramma quasi fassbinderiano per trama (siamo dalle parti de
La paura mangia l'anima), un mezzo documentario per messa in
scena: Segre, coadiuvato da un'eccellente cast formato da attori
professionisti (Rade
Sherbedgia, Marco Paolini, Giuseppe Battiston) e non, realizza un
ottimo esordio, mutuando appunto dalla pregressa esperienza
documentarista un'attenzione al paesaggio e ai volti non
indifferente, dirigendo con piglio sicuro un film pienamente riuscito
e attuale. Aria fresca dalle nostre parti.
Legenda:
(-----) : schifezza immonda
(*----): inutile
(**---): si può vedere
(***--): da vedere
(****-): assolutamente da vedere
(*****): capolavoro
giovedì 10 novembre 2011
Ancora, e ancora, e ancora...
La Zona (***--)
Di Rodrigo Plà (Messico, 2007)
La "zona" è un quartiere residenziale per benestanti di Città del Messico, separato dalle vicine favelas da un muro che, assieme a guardie private e numerose telecamere, protegge i suoi abitanti dall'esterno. La breccia nel muro che dà avvio alla storia è allegorica: i ricchi e i poveri, guardie e ladri, padri e figli, integrità e corruzione, ma non buoni e cattivi: solo ferite. Infine la violenza. Che squarcia l'animo dello spettatore così come il bianco (desaturazione a gogò) squarcia lo schermo. Nel mezzo l'innocenza del sedicenne Alejandro, ragazzo privilegiato, che si scontra e s'incontra con il suo doppio, Miguel, povero e criminale. Per Plà nessuno è libero: i poveri sono costretti a rubare mentre i ricchi si chiudono letteralmente in una prigione. Il confronto, possibile, viene negato dall'ingiustizia (sociale, economica, giuridica: totale). Uno dei film politici migliori degli ultimi anni con una scena, quella del linciaggio, assolutamente indimenticabile.
Di Rodrigo Plà (Messico, 2007)
La "zona" è un quartiere residenziale per benestanti di Città del Messico, separato dalle vicine favelas da un muro che, assieme a guardie private e numerose telecamere, protegge i suoi abitanti dall'esterno. La breccia nel muro che dà avvio alla storia è allegorica: i ricchi e i poveri, guardie e ladri, padri e figli, integrità e corruzione, ma non buoni e cattivi: solo ferite. Infine la violenza. Che squarcia l'animo dello spettatore così come il bianco (desaturazione a gogò) squarcia lo schermo. Nel mezzo l'innocenza del sedicenne Alejandro, ragazzo privilegiato, che si scontra e s'incontra con il suo doppio, Miguel, povero e criminale. Per Plà nessuno è libero: i poveri sono costretti a rubare mentre i ricchi si chiudono letteralmente in una prigione. Il confronto, possibile, viene negato dall'ingiustizia (sociale, economica, giuridica: totale). Uno dei film politici migliori degli ultimi anni con una scena, quella del linciaggio, assolutamente indimenticabile.
Legenda:
(-----) : schifezza immonda
(*----): inutile
(**---): si può vedere
(***--): da vedere
(****-): assolutamente da vedere
(*****): capolavoro
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venerdì 4 novembre 2011
La peggiore recensione della mia vita
La peggior settimana della mia vita (*----)
Di Alessandro Genovesi (ITA 2011)
Il primo film di Alessandro Genovesi, già sceneggiatore per Salvatores (Happy family, 2010), è tratto dalla sit-com britannica The Worst Week of My Life, da cui prende anche il titolo . Se nel lavoro precedente vi si poteva riscontrare un citazionismo, anche a livello registico, fin troppo ostentato verso un immaginario tipicamente à la Wes Anderson con evidenti rimandi a I Tenembaum, questa volta incorriamo in qualcosa di sospeso tra il remake e il plagio di Ti presento i miei. Infatti il film parla di Paolo, quarantenne imbranato e bugiardo cronico, e del suo matrimonio incombente con Margherita, la cui famiglia gli è ostile. Il film si sviluppa lungo lo schema tipico della commedia romantica, tra i classici tira e molla e il tutto che sembra inevitabilmente precipitare in vista del finale. Non mancano nemmeno le caratteristiche più moderne di diretta derivazione hollywoodiana come la presenza del combina-guai/cattivo-consigliere, amico di lui, impersonato stavolta dal napoletanissimo Siani che, dopo Benvenuti al Sud, si riconferma affidabilissimo detonatore di comicità, ma sia ben chiaro: Troisi era di un altro livello, semmai siamo dalle parti del nuovo Lello Arena. Allo stesso modo non siamo dalle parti della commedia all'italiana, genere a sé stante capace, tra una risata e qualche lacrimuccia, di riflettere sul contemporaneo. Questo a Genovesi e a De Luigi (qui anche nella veste di sceneggiatore) non interessa, si punta dritto alla risata e il bersaglio in buona parte si centra: qualche buona gag alternata ad altre, scontate o del tutto scotte, che si salvano solo grazie all'abilità del cast maschile, del quale segnaliamo anche Antonio Catania, nei panni del futuro suocero stile De Niro. Viceversa, quando non è il cattivo gusto a farlo, è parte del cast femminile a impedire che la comicità esploda: sottotono Monica Guerritore, madre di Margherita, ancor peggio la tanto pettoruta quanto incapace Chiara Fancini, svitata ammiratrice di Paolo mentre la Capotondi, (non) protagonista femminile nei panni appunto di Margherita, si limita al compitino richiestole
Di Alessandro Genovesi (ITA 2011)
Il primo film di Alessandro Genovesi, già sceneggiatore per Salvatores (Happy family, 2010), è tratto dalla sit-com britannica The Worst Week of My Life, da cui prende anche il titolo . Se nel lavoro precedente vi si poteva riscontrare un citazionismo, anche a livello registico, fin troppo ostentato verso un immaginario tipicamente à la Wes Anderson con evidenti rimandi a I Tenembaum, questa volta incorriamo in qualcosa di sospeso tra il remake e il plagio di Ti presento i miei. Infatti il film parla di Paolo, quarantenne imbranato e bugiardo cronico, e del suo matrimonio incombente con Margherita, la cui famiglia gli è ostile. Il film si sviluppa lungo lo schema tipico della commedia romantica, tra i classici tira e molla e il tutto che sembra inevitabilmente precipitare in vista del finale. Non mancano nemmeno le caratteristiche più moderne di diretta derivazione hollywoodiana come la presenza del combina-guai/cattivo-consigliere, amico di lui, impersonato stavolta dal napoletanissimo Siani che, dopo Benvenuti al Sud, si riconferma affidabilissimo detonatore di comicità, ma sia ben chiaro: Troisi era di un altro livello, semmai siamo dalle parti del nuovo Lello Arena. Allo stesso modo non siamo dalle parti della commedia all'italiana, genere a sé stante capace, tra una risata e qualche lacrimuccia, di riflettere sul contemporaneo. Questo a Genovesi e a De Luigi (qui anche nella veste di sceneggiatore) non interessa, si punta dritto alla risata e il bersaglio in buona parte si centra: qualche buona gag alternata ad altre, scontate o del tutto scotte, che si salvano solo grazie all'abilità del cast maschile, del quale segnaliamo anche Antonio Catania, nei panni del futuro suocero stile De Niro. Viceversa, quando non è il cattivo gusto a farlo, è parte del cast femminile a impedire che la comicità esploda: sottotono Monica Guerritore, madre di Margherita, ancor peggio la tanto pettoruta quanto incapace Chiara Fancini, svitata ammiratrice di Paolo mentre la Capotondi, (non) protagonista femminile nei panni appunto di Margherita, si limita al compitino richiestole
La
commedia, è bene ripeterlo, funziona: si ride, anche di gusto, e non
ci sarebbe in fondo di che lamentarsi, specie guardando al derelitto
panorama del cinema nostrano. Il problema nasce raffrontandola col
precedente lavoro: un anno fa si poteva vedere in Genovesi un'ancora
di salvezza per la commedia italica: elementi originali e piuttosto
innovativi per le acque ferme del nostro cinema, una capacità di
gestire più registri con disinvoltura, una discreta riuscita sia
nell'affrontare con leggerezza temi delicati, sia nel porre uno
sguardo affatto superficiale sul contemporaneo senza scadere in
banalità o scontate affermazioni partigiane: tutto ciò lo poneva
ben al di sopra di Brizzi e di altri registi e sceneggiatori che
negli ultima anni hanno avuto a che fare con la commedia qui in
Italia. Oggi assistiamo ad un appiattimento inaspettato e deludente,
fin troppo vicino alle gag televisive di De Luigi. Si tratta dunque
di un film che può dirsi, nel suo piccolo, compiuto, ma che
rappresenta, si spera, un passo falso nella carriera di un giovane
autore che può e deve dare di più al nostro cinema.
Legenda:
(-----) : schifezza immonda
(*----): inutile
(**---): si può vedere
(***--): da vedere
(****-): assolutamente da vedere
(*****): capolavoro
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