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domenica 26 giugno 2011

Di passaggio

Non vado al massimo ultimamente. Stremato sono giunto al termine de La linea d'ombra, ch'erano poche pagine. Non mi viene molto da scrivere e, come se non bastasse, quello che scrivo non è buono. Quello che filmo e monto ancora peggio.
L'ultima delle idee è una nuova zine, autarchica fino al midollo. Spero di fare un lavoro pregevole, duraturo, al contrario di quanto ho prodotto fino ad ora. Ciò appare come impresa improba, soprattutto dopo aver constato che quanto buttato giù fino ad ora sul mio piccolo computer non va assolutamente nella direzione giusta.
Sperando in tempi migliori e in serate allegre passate insieme, vi lascio un frammento di qualcosa che non è stato, non è e non sarà mai. Per fortuna.


Mangiatore d'hashish

Ancora mi perdevo coi pensieri per le strade del centro storico. Passato un piccolo canale, la mia attenzione venne attratta da un piccolo negozio di robi vecchi: l'entrata era posta qualche gradino più in basso rispetto alla strada ed era rappresentata da una porta rossa, la cui vernice mostrava tutti i segni del tempo, lasciando ampi spazi vuoti dove i tarli avevano trovato di che viverci. La finestrina romboidale che dava sull'interno era sporca e costringeva l'immaginazione a lavorare. Tremendamente incuriosito entrai in quel piccolo negozio.
C'era odore di legno vecchio, mobili antichi ormai inutilizzabili portavano appiccicato addosso prezzi cari ed inarrivabili per le mie tasche. Vecchi vestiti umidi ed impolveriti trovavano il loro spazio poco distante, una giovane donna alla cassa contrattava il prezzo di quelli che aveva scelto. Dei capelli castani e ricci adornavano una faccia buffa e due occhi verde acqua; pensai che l'aspetto comico della ragazza nascondesse una bellezza più sottile, avevo la sensazione di sentirla emergere dalla voce con la quale contrattava il prezzo della merce. Sapeva farci eccome, seppure il gestore, che le foto appese intorno testimoniavano essere un ex maratoneta kenyota professionista, dimostrasse di non essere certo l'ultimo arrivato. Indeciso sul da farsi mi sorpresi a guardarle il sedere. Decisi di voltare lo sguardo, sempre per quella storia del pudore, e notai una tenda e un'insegna: vietato ai minori di diciottanni. Senza troppo indugio varcai anche quella soglia.
Dimenticate l'odore di legno ammuffito, di polvere e di kenyota invecchiato: l'aroma dell'hashish era forte e piacevole e non si sa quale magico incantesimo non gli avesse permesso di attraversare quella tenda.
Alcuni vecchi giocavano a carte e degli arazzi antichi e bellissimi adornavano la stanza. Erano sfondo delle più bizzarre e confuse bestemmie che si potevano udire sulla faccia della terra: gli anziani giocatori di carte provenivano dalle zone più disparate del globo e l'italiano era declinato in tutti i possibili accenti. In mezzo a questa bisca si stagliava la figura solitaria di un giovane uomo dai tratti somatici decisamente più famigliari. Era però vestito in modo assai stravagante: sembrava una specie di nobile indiano sperduto nel tempo; mi sedetti al suo fianco mentre mordeva grossi cioccolatini. Non ci volle molto a capire che non si trattava di dolciumi qualunque, bensì di hashish glassato ed addolcito da zuccheri e oli esotici, dalle dimensioni del piatto dal quale prendeva queste presunte prelibatezze s'intuiva averne mangiati a palate. Senza che dissi niente, tanto ero intento ad osservare stupito tutti i particolari di quella stanza, mi rivolse la parola “Mangiare l'hashish è un arte. Una questione di stile, una questione di classe. E' una presa di coscienza seria. Ho appreso molte cose durante la mia vita, la via della seta mi ha insegnato le regole e le ragioni del mondo. Ora io qui, di fronte al mio sapere, non posso certo abbassarmi a fumare l'olio di motore che tu e i tuo amici ogni tanto vi concedete. Che ci fai qui?” Sbalordito dalle parole che erano uscite dalla sua bocca (e dal come erano uscite! Fluenti e perfette, musicali ben al di là della loro metrica) non seppi che rispondere. “Non mi sorprende il tuo silenzio”- s'interruppe un momento a causa del singhiozzo -“gli uomini si dividono in sapienti ed ignoranti, in attivi e pigri e di tutte le specie tu rappresenti la peggiore.” Si blocco, ché un rutto, soffocato con sforzo immane, gli aveva invaso la gola, poi riprese sofferente “Ignorante, pigro e mal vestito. Non hai vergogna? Assaggia pure uno di questi doni di Dio e prova ad assaporare almeno un istante degno d'essere vissuto.”
Le sue parole mi colpivano, m'inchiodavano alla sedia ed ipnotizzavano. Un sussulto di pianto sembrava farsi strada sotto le mie guance fin dietro gli occhi, ma qualcosa non mi convinceva nel suo tono. Iniziarono poi a fluire in me pensieri figli di orgoglio e dignità offesa, accompagnati da una sensazione di riscoperta: sembrava di assistere ad una resurezzione. Mi alzai in piedi, sul mio viso si doveva scorgere sia la rabbia che la paura, sia l'insicurezza che la certezza di essere migliore di questo personaggio da circo. Gli sibilai “Sei solo un sottone qualunque” con la speranza di ferirlo profondamente. Il tono incerto con cui lo dissi dovette risultare davvero ridicolo, tant'é che rise, rise fino a sentir mancare il respiro e a produrre rumori sempre meno accomodanti e forieri di cattivi presagi. Più cercava di smettere e di ricomporsi e più rideva a crepapelle. I vecchi intorno sospesero le loro partite e si avvicinarono intorno a quel bizzarro ed arrogante principe indiano. Provarono a farlo riprendere con due colpi sulla schiena, ma egli proseguiva nel ridere, non riusciva a smettere. In volto si fece sempre più rosso, iniziarono a comporsi negli angoli degli occhi delle lacrime che poi mano a mano scesero, mentre la risata si faceva d'improvviso silenziosa e la testa sembrava potesse scoppiare da un momento all'altro. Nella stanza si diffuse il panico, un vecchio afghano urlava qualcosa di incomprensibile mentre l'eschimese si coprì gli occhi per non vedere. Fu quando, preoccupato dal fracasso, entrò il kenyota che la testa di quel giovane esplose schizzando su tutti gli astanti e gli arazzi stesi sui muri intorno il suo sangue e le sue membra. Ne sputai addirittura un pezzo dalla punta della lingua, come fosse un capello o un pelo di figa. Questa volta era un pezzo cervello. In quell'incidente morirono altre 4 persone, col muso perforato fino ai punti vitali da diverse ossa fra le quali denti, frammenti di setto nasale e schegge della scatola cranica. Un massacro.


1 commento:

meghele ha detto...

dio bèscolo