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venerdì 21 ottobre 2011

Che poi sta storia della critica...

Giudicare è poco salutare solitamente, bene sarebbe mettersi lo zaino in spalla e andare. Invece tu stai qui a fare le recensioni. Eh ma è per scuola, ma è per divertimento. Ma vaffanculo e trovati un lavoro.
Confucio

Jane Eyre (**---)
Di Cary Fukunaga (GB, 2011)
Ritorno al cinema per Jane Eyre: quindici anni dopo il lungometraggio di Franco Zeffirelli, è Cary Fukunaga a riportare sul grande schermo l'eroina (in parte autobiografica) di Charlotte Bronte, mentre alla Gainsbourg succede l'ottima Mia Wasikowska, lanciatissima attrice australiana, già Alice per Tim Burton lo scorso anno e in questi giorni al cinema anche con l'ultimo Van Sant. Al suo fianco un altro attore ormai prossimo alla consacrazione, Michael Fassbender, anche lui al cinema in questi giorni con un altro lungometraggio (é Jung in A dangerous method di David Cronenberg), nei panni di Rochester e l'impareggiabile Judi Dench nei panni di Mrs. Fairfax.
Ma procediamo con ordine: rinfrescare una storia ormai nota non è mai cosa semplice e Moira Buffini, autrice della sceneggiatura, ci riesce solo in parte. L'incipit in medias res e i susseguenti flashback gettano uno squarcio di luce sulla vita di una ragazza dispersasi a rischio della vita nella brughiera inglese. E' questa la parte migliore del film, sorretta da una scrittura brillante che sacrifica alcuni personaggi per lasciare spazio al nodo centrale e successivo del film: la storia d'amore fra Jane Eyre e Rochester. Si ritornerà così al punto di partenza da cui il film procederà sbrigativamente in vista del finale.
L'inizio, l'abbiamo già detto, è valido: dialoghi essenziali e inquadrature puntuali, un continuo passaggio tra presente e passato ben architettato, che permette di liquidare la prima parte del romanzo, infanzia e formazione, in fretta. Forse troppa, è vero, ma, se nel cinema bisogna saper fare di necessità virtù, la semplificazione o addirittura la rimozione di alcuni personaggi, pur importanti nell'economia del romanzo, può essere giustificata. E allora qual è questa necessità? Ebbene si trattava di porre al centro, con ancora maggior forza, la protagonista, che occupa qui tutto lo spazio e tutto il tempo, fagocitando tutti gli altri personaggi e seducendo Rochester. Una serie di jump-cut en plein air molto luminosi restituiscono le emozioni di Jane e fanno contrasto con gli interni, dove i (pochi) personaggi si muovono come ombre cinesi (ottima la fotografia di Adriano Goldman). Purtroppo però è in questa parte centrale che il film perde un po', nonostante alcuni buoni momenti come l'innamoramento, reso con poche inquadrature ed una grazia semplice e rara, la storia prosegue senza più alcun pathos: la suspence emotiva e i colpi di scena sono mal gestiti e il tutto scorre in modo scontato. Gli echi horror precedenti scompaiono e l'indagine sulla repressione delle pulsioni e dei propri fantasmi sotto il peso della fede, tema che il film sembrava intenzionato a perseguire per alcuni tratti, resta ferma poco oltre la superficie facendo di Jane non una retta donna vittoriana, ma piuttosto una suffragetta ante-litteram.
Restano le ultime annotazioni: discreto Fassbender che, come buona parte del restante cast, offre una prova più che sufficiente seppur in un ruolo inadatto (chi ha fatto il casting? da licenziamento!); ottimi i costumi e le acconciature; piuttosto incolori invece gli archi del premio oscar Dario Marianelli.
La sufficienza c'è tutta, ma, se questo film sarà ricordato (e permetteteci di dubitarne), lo dovrà esclusivamente alla bravura della Wasikowska per la quale la candidatura all'oscar è tutt'altro che un miraggio.

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