Confucio
Di Cary Fukunaga (GB, 2011)
Ritorno al cinema per
Jane Eyre: quindici anni dopo il lungometraggio di Franco Zeffirelli,
è Cary Fukunaga a riportare sul grande schermo l'eroina (in parte
autobiografica) di Charlotte Bronte, mentre alla Gainsbourg succede
l'ottima Mia Wasikowska, lanciatissima attrice australiana, già
Alice per Tim Burton lo scorso anno e in questi giorni al cinema
anche con l'ultimo Van Sant. Al suo fianco un altro attore ormai
prossimo alla consacrazione, Michael Fassbender, anche lui al
cinema in questi giorni con un altro lungometraggio (é Jung in A
dangerous method di David Cronenberg), nei panni di Rochester e
l'impareggiabile Judi Dench nei panni di Mrs. Fairfax.
Ma procediamo con ordine:
rinfrescare una storia ormai nota non è mai cosa semplice e Moira
Buffini, autrice della sceneggiatura, ci riesce solo in parte.
L'incipit in medias res e i susseguenti flashback gettano uno
squarcio di luce sulla vita di una ragazza dispersasi a rischio della
vita nella brughiera inglese. E' questa la parte migliore del film,
sorretta da una scrittura brillante che sacrifica alcuni personaggi
per lasciare spazio al nodo centrale e successivo del film: la storia
d'amore fra Jane Eyre e Rochester. Si ritornerà così al punto di
partenza da cui il film procederà sbrigativamente in vista del
finale.
L'inizio, l'abbiamo già
detto, è valido: dialoghi essenziali e inquadrature puntuali, un
continuo passaggio tra presente e passato ben architettato, che
permette di liquidare la prima parte del romanzo, infanzia e
formazione, in fretta. Forse troppa, è vero, ma, se nel cinema
bisogna saper fare di necessità virtù, la semplificazione o
addirittura la rimozione di alcuni personaggi, pur importanti
nell'economia del romanzo, può essere giustificata. E allora qual è
questa necessità? Ebbene si trattava di porre al centro, con ancora
maggior forza, la protagonista, che occupa qui tutto lo spazio e
tutto il tempo, fagocitando tutti gli altri personaggi e seducendo
Rochester. Una serie di jump-cut en plein air molto luminosi
restituiscono le emozioni di Jane e fanno contrasto con gli interni,
dove i (pochi) personaggi si muovono come ombre cinesi (ottima la
fotografia di Adriano Goldman). Purtroppo però è in questa parte
centrale che il film perde un po', nonostante alcuni buoni momenti
come l'innamoramento, reso con poche inquadrature ed una grazia
semplice e rara, la storia prosegue senza più alcun pathos: la
suspence emotiva e i colpi di scena sono mal gestiti e il tutto
scorre in modo scontato. Gli echi horror precedenti scompaiono e
l'indagine sulla repressione delle pulsioni e dei propri fantasmi
sotto il peso della fede, tema che il film sembrava intenzionato a
perseguire per alcuni tratti, resta ferma poco oltre la superficie
facendo di Jane non una retta donna vittoriana, ma piuttosto una
suffragetta ante-litteram.
Restano le ultime
annotazioni: discreto Fassbender che, come buona parte del restante
cast, offre una prova più che sufficiente seppur in un ruolo
inadatto (chi ha fatto il casting? da licenziamento!); ottimi i
costumi e le acconciature; piuttosto incolori invece gli archi del
premio oscar Dario Marianelli.
La sufficienza c'è
tutta, ma, se questo film sarà ricordato (e permetteteci di
dubitarne), lo dovrà esclusivamente alla bravura della Wasikowska
per la quale la candidatura all'oscar è tutt'altro che un miraggio.
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