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mercoledì 28 dicembre 2011

Miglior disco del 2011

La copertina.
Devo dire la verità, se non avessi letto la (non) classifica di legno, non sarei qui, nel senso che forse non ne avrei avuto il coraggio. Di sbilanciarmi intendo. Perché i Distanti, io, è da quando li conosco che dico che sono il meglio, ma i miei amici mi guardano male. Poi siamo andati a vederli live e miei amici han detto che insomma, si, va beh. Il giorno dopo siamo andati a vedere gli offlaga ed erano tutti entusiasti. Ma ci può anche stare dico io, anche perché il pezzo grosso non c'era ancora.
Il pezzo grosso è Mamba nero.
Cinque pezzi per circa quindici minuti, di cui so dirvi poco perché non suono, non so suonare, non so come funziona la musica. Io premo play e godo o meno, ascolto i testi e tanti saluti. Quindi è un miglior disco molto soggettivo, ma si era capito. Ma era inevitabile.
Perché Mamba nero è il pezzo grosso? Perché il primo ep spaccava ma non si capiva una sega, era di un male registrato da volerci benone, quello si, ma non si capisce una sega, mentre Enciclopedia della vita quotidiana era un lavoro interessante, volutamente non piacevole da ascoltare, dove i testi variavano tra il complesso e il criptico. Insomma, qualcosa che richiede ascolti, impegno, parafrasi. Operazione non facile e nel frattempo quel tiro, quella goduria che nel primo ep sprizzava da tutte le parti, si eclissava in nome di suoni ossessivi, belli ma non incisivi.
Che, per quanto fosse un buon lavoro, mancasse ancora qualcosa i Distanti penso l'abbiano capito perché Mamba nero segna si un punto di equilibrio fra i due lavori, ma non per sottrazione, anzi. Lo si nota in primis dal dettaglio, puramente quantitativo, della durata dei pezzi, che sono anche più costruiti, più strutturati musicalmente, registrati bene (non che Enciclopedia... non lo fosse, ma non lo era il primo ep). La voce si sente bene ed è impastata con la musica come dio comanda; c'è di nuovo quel tiro, si diverso, cambiato, ma lo senti che sono i Distanti.
Di cosa parla Mamba Nero? Così su due piedi è difficile dirlo. Misantropia forse, uno scontro fra se stessi e la società in cui si vive, ma soprattutto di storie sofferte: piccole sconfitte quotidiane rivisitate con un po' di coraggio ed onestà. In più, rispetto ai lavori precedenti, io ci trovo un maggiore ottimismo perché le soluzioni s'intravedono.
Il primo pezzo, Tolleranza al dolore, richiama l'animale che da il titolo al lavoro. L'autore ne veste i panni o almeno ci prova: atterra la giraffa, uccide il re leone. Come dire: in questo album andiamo al sodo, vi squartiamo; io comando. In realtà quest'analisi è subito fugata dall'interpretazione del cantante: basta sentire quel coro che procede convinto con "e uccide il re leone!" mentre la voce, in ritardo e dimessa, ribadisce il concetto svuotandolo, anzi inseminandolo di un significato altro e opposto.
Bologna è un pezzo di quelli che io dubito di capire, sul serio. Posso azzardare delle ipotesi, potrei limitarmi a dire che è il loro primo pezzo in cui si sente la seconda voce e che questa arricchisce non poco l'arrangiamento, possiamo, visto quello che ho scritto poche righe sopra, notare il finale: ma non devi chiedere questo(questo cosa? un compromesso? del resto il protagonista del pezzo sembra essere un ragazzo in cerca di "un centro di gravità permanente")/ è come battere la lingua sul tamburo/ devi pretendere sempre/ operazioni irreversibili.
Astronomie...ecco se Bologna non si capiva, di questa cosa possiamo dire? Una coppia con dei problemi relazionali? Cosa centrano i cani? E l'anno bisestile? In ogni caso su di loro, su i Distanti e su di noi hanno vegliato le stelle ma(c)che(') non possono farci niente.
A fine giornata è invece l'inno dei misantropi: mentre tutti saltano e urlano cantando "siamo solo noi", inconsapevoli commilitoni d'una armata Brancaleone, l'insoddisfazione, la rabbia e una desolante sensazione d'impotenza prendono corpo nel protagonista. Devi fare le cose come se non fossero fatte per te/ come se tu fossi fatto per te
Infine Foglie di fico: un invito ad uscire allo scoperto, a gettare all'aria i nostri alibi (Basta parlare come fischiare, basta chiamare cani, ora mastica foglie di fico senza sputi, voglio vedere che ingoi quello che predichi). Ne esce (in/volontariamente?) un quadro generazionale, di gente spenta al timone, insicura, che predica bene e razzola male, con in mano un giornale o un settimanale: ma servono solo a darsi un tono, a nascondere l'incapacità d'essere protagonisti della propria vita. 
E oltre a tutto ciò utilizza la parola deuteragonista.  
In fin dei conti questo lavoro non fa altro che ribadire (e lo fa meglio) la politica dei Distanti: un'analisi lucida e spietata del proprio vivere quotidiano, una disamina senza sconti della meglio gioventù, perché lo strepitio dei distanti non è necessità di esprimersi, non è un semplice sfogo, bensì è l'urlo disperato dell'osservatore attento, cosciente e onesto. E tutto (questa, in fondo, è la cosa importante) è proposto tramite una scrittura, musicale e non, potente, brillante, feconda e piacevole. 
Rubo le parole a qualcuno, ma è piuttosto un condividerle: sono il miglior gruppo italiano, mamba nero è un capolavoro ed enrico, cantante e autore dei testi, è un eroe.
Le foto di gruppo, devono essere un disagio per chi suona.

1 commento:

Brunoc ha detto...

a'vveggghio..